IL PANE DI ALTAMURA 

IL PANE DI ALTAMURA

Maggio 04, 2020 · Arte · 0 comments
Solo exhibition @ Statuto13
Milano, Ottobre 2013
Testo critico di Antonio Mancinelli

Non c’è momento forse più scontato e pericolosamente destinato a lievitare con i germi della retorica quando s’impastano le parole per incoronare il mito del pane. Soprattutto quando i media ne tramandano una vera e propria reinvenzione ad usum dei consumatori. Quanto più la sua preparazione è industriale, asettica, farmaceutica tanto più la sua comunicazione mediatica si coagula intorno a paesaggi campestri e cosmetici che vivono negli interstizi tra la cattiva immaginazione e il cartone animato, tra i mulini bianchi e le spighe al vento, tra mamme sempre sorridenti e fornai aitanti come indossatori (e infatti lo sono, negli spot). C’è l’urgenza di ricapitolare, di resettare la ricetta della conoscenza: ed è quello che fa Federico Garibaldi in questo reportage su e del pane di Altamura, cittadina pugliese che di questo ex cibo dei poveri è la patria indiscussa.

In questi scatti solenni, cupi, drammatici ma anche ironici (guardate l'ingenuità di quelle insegne un po' naif, osservate i volti di chi mescola, miscela, forma e deforma una massa molle che sembra l'universo prima che arrivasse Dio - un dio che è lì, a portata di mano, di braccio e di pala), che si ristabilisce il giusto equilibrio tra cultura, farina, acqua e lievito. Perché è raro, del pane, riscattare la vera storia oggi, nel terzo Millennio. Una storia che sa di fatica fisica, muscolare, di alzatacce nel cuore della notte e di occhiaie tra le rughe di chi lavora accanto al fuoco e subisce la spossatezza di un gesto che diventa abitudine ma anche rituale che si officia non per celebrare qualcosa o qualcuno d'importante, ma il semplice fatto che, ancora una volta, ancora un altro giorno, siamo nel mondo e ci dovremo camminare, lavorare, divertirci, arrabbiarci e nutrirci finché morte non ci separi (dal mondo medesimo). Marguerite Yourcenar affermava che «scrivere è come fare il pane» alludendo allo sforzo materiale, concreto, reale che impone la disciplina di chi costruisce storie. Federico Garibaldi sembra invertire i termini della massima, per dimostrare che «fare il pane è come scrivere» e narra un racconto duro, forte, croccante di come può nascere ancora, nell'autenticità, il più semplice dei pasti. E ci invita a consumarlo negando ogni elemento eroico ma facendo una cronaca che non cerca di accendere il fascino del sapore DOC o della cucina in via d'estinzione. Sono fotografie che esprimono un'urgenza: quella della solidarietà con il vero. Quella dell'esaltazione per le cose-come-stanno. E sfidiamo qualunque pubblicitario a ricostruire con la stessa poesia quella di chi, ogni notte ricostruisce una pagnotta in uno dei tanti forni di Altamura partendo ogni notte alla volta di un fuoco che gli illumina la vita, per un lavoro quasi invisibile che rimane dietro a quelle insegne un po' naif ma è scevro dalle apparenze, è incontaminato dai luoghi comini.