Attraverso – Appunti su una mostra di Federico Garibaldi a Milano

Maggio 20, 2020 · Press · 0 comments
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DIXIT CAFÈ, Maggio 2019
Di Pasquale Barbella

Nell’epoca in cui si vede troppo, si vede tutto, si vede di più, Federico Garibaldi ha scelto la decostruzione della visione, il filtro estremo, un gioco come un altro per tentare lo sguardo attraverso l’artificio del nascondere. Lo fa citando esperienze che rimandano al divisionismo, al puntillismo, alla retinatura tipografica, ma si diverte a capovolgere la funzione di quelle tecniche: lì i reticoli di puntini operano per addizione, creando con i loro addensamenti una realtà riconoscibile, mentre Garibaldi scompone gli oggetti del suo apparente voyeurismo per non condividerli con nessuno, nemmeno con sé stesso. Non è ciò che sta oltre la rete a interessarlo, è la rete stessa e il momento del through, dell’attraverso, della mediazione frammentaria e casuale che interrompe la continuità del paesaggio (percepito, in questo caso, attraverso i finestrini e le tendine di un autobus). Si indovina appena, al di là di questo effetto zanzariera, che si tratta di paesaggio urbano, o meglio della sua versione più illusoria, quel continuum mobile che sfiora lo sguardo del passeggero senza pretendere null’altro che una vaga simulazione di ipnosi. Stordimento: ma non troppo. C’è un messaggio in tutto questo? Certo che no: Dio ce ne scampi. Garibaldi si fida più dell’ironia che dei messaggi. D’altra parte, checché se ne pensi, l’ironia è molto più rivelatrice dei messaggi. I messaggi sono sempre ingombrati da un surplus di retorica (dunque di inganno): oggi più che mai, grazie al trionfo ipertrofico della chiacchiera post-politica e twitterosa, dell’iperconnessione e dell’informazione extrafake. L’attraverso di Garibaldi, disconnettendo l’occhio dalla sua preda, compie a suo modo un’opera di igiene, immobilizzando la curiosità su una soglia troppo spesso profanata senza che l’atto di varcarla produca significativi progressi evolutivi nella nostra specie di appartenenza.

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